Estero

Il ritorno dei prigionieri a Gaza, 'un sogno'

13 ottobre 2025
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Dopo 735 giorni di stenti, fame, raid e bombe, gli abitanti di Gaza hanno finalmente tirato un sospiro di sollievo con l'entrata in vigore della tregua.

E oggi, dopo quasi due anni di dolore, hanno ritrovato anche attimi di felicità nel vedere amici, figli, sorelle e mariti tornare dalle prigioni israeliane, dove hanno trascorso settimane e mesi in condizioni difficilissime.

Alcune famiglie non credevano che i propri cari fossero ancora vivi. E la festa, all'arrivo dei bus dei prigionieri palestinesi scambiati con gli ostaggi israeliani, è scoppiata a Ramallah così in diverse località della Striscia. Chi scendeva da quei pullman veniva acclamato e, in alcuni casi, portato in trionfo come un eroe.

Spari in aria, urla di gioia, drappelli di persone aggrappate ai finestrini degli autobus, bandiere: "È una sensazione bellissima, una giornata indimenticabile", ripeteva un uomo sulla cinquantina pronto a riabbracciare il figlio fermato tempo fa - secondo il suo racconto - ad un check point e mai tornato a casa. "Non credevo che sarei riuscita a rivederla, mi sembra un sogno", racconta una donna anziana tra le lacrime, in attesa di riabbracciare la figlia.

Sono tanti, quasi duemila i prigionieri usciti dalle carceri. Ci sono donne, alcuni adolescenti, ma anche 250 ergastolani condannati per attentati e omicidi. Altri 1.722 sono stati invece incarcerati dal 7 ottobre di due anni fa, ma non coinvolti nell'attacco di Hamas. Tra questi ultimi anche 22 minorenni.

Alcuni sono stati riportati a Ramallah, altri nella Striscia, altri ancora saranno esiliati all'estero, soprattutto in Turchia e Qatar. Tra loro non c'erano i 'Big Seven' che Hamas rivendicava, tra cui Marwan Barghouti. Ma neanche i due medici Hussam Abu Safiya e Marwan Al Hams, dirigenti di ospedali a Gaza accusati da Israele di essere affiliati ad Hamas, ma "senza prove" secondo le numerose ong per i diritti umani che ne chiedono la liberazione.

Sono stati rilasciati dalla prigione in Israele e inviati a Gaza attraverso i confini israeliani a est della città di Khan Younis, tutti sono stati portati all'ospedale Naser nella città per un primo controllo medico e poi dimessi per tornare dalle loro famiglie.

"Durante questi mesi non siamo mai riusciti ad avere contatti con loro", racconta una coppia in attesa di rivedere due dei loro cinque figli, confermando che ai detenuti non era consentito nessun contatto esterno. "Ora hanno bisogno di aiuto, hanno subito torture psicologiche e fisiche", denuncia una donna in attesa del marito.

Le famiglie si sono radunate al Nasser in attesa dei controlli medici dei loro cari per i quali è stato allestito un ospedale da campo adiacente all'edificio principale dell'ospedale. "Provo qualcosa di indescrivibile: c'è gioia, dolore, felicità, tristezza. Un insieme di sensazioni difficile da raccontare. Ma tutto passerà quando lo rivedrò. Stasera potremmo di nuovo sedere a tavola con i nostri bambini e provare a dimenticare questo incubo", spiega una giovane donna. I suoi tre bimbi attaccati al vestito e i suoi occhi puntati su quel bus che le sta riportando il marito.